Sappiamo chi siamo?

Ci definiamo, circoscriviamo i nostri gusti, esponiamo le nostre convinzioni. Ci riteniamo originali.

Abbiamo davvero guardato attraverso la nostra anima? Veramente siamo coerenti con ciò che siamo?

Ho letto (non certo su una rivista specializzata) la tesi sostenuta da qualcuno che trova sia logico che un sottomesso spesso abbia, in realtà, un ruolo di comando nella propria vita o nel lavoro. Logico lo è. Ma non è un dato di fatto, tutt’altro. Soprattutto poi quando qualche riga più avanti c’è qualcuno che tira fuori “L’indole” (cit. quella o ce l’hai o no, eh!). Quella che “hai sempre saputo”, chissà perché. E dopo le unghiate sui vetri a scendere verso il basso, ecco le zampate nel vuoto, tentando di volare: “Si, ma se non hai mai provato ad essere sub come puoi essere un buon dom?”. E a questo non spreco nemmeno le forze di spingere le dita sui tasti per rispondere.

Ma la domanda all’inizio è diversa: Sappiamo chi siamo? Perché è questa la scoperta del proprio ruolo.

 A volte non riusciamo nemmeno a trovare una definizione per noi stessi, forse perché gravitiamo esattamente a metà tra spartiacque storici che nessuno vuole modificare, ci troviamo a volte a cavallo tra quello che viene definito “vero” e quello che è “un adattamento”. Altre volte ci accorgiamo che vorremmo essere e provare esattamente quelle sensazioni, in quel ruolo, in quella esatta situazione. Ne siamo certi. Non abbiamo dubbi.

Alle volte, invece, ci siamo sbagliati. Sembra incredibile ma può capitare. Può succedere di esserne addirittura convinti. Eppure, per caso (o anche no), quando la situazione ci obbliga a “provare” un altro ruolo, di colpo ci accorgiamo che ci calza come un cappotto su misura e non vorremmo più toglierlo.

Guardiamo dentro di noi, apriamo quella finestra e specchiamoci, cercando il vero, cercando la nostra natura.

Jean Bottega

- in foto Conosci te stessa | JuzaPhoto di Maila