Il "Famolostrano" del BDSM

“Questo, è BDSM, questo invece no".

E poi chi lo decide cosa è o non è (dicono che se ti piace va bene lo stesso)?  

Chi ha vissuto in prima persona l’apertura alla possibilità di esprimere le proprie passioni in campo sessuale e sensoriale, lasciando alle spalle molte censure e limitazioni, probabilmente oggi percepisce le discussioni sull’argomento come un miscuglio informe privo di significato. Un “piatto” che vada bene a tutti. Una specie di minestra dai mille gusti, tutti tritati insieme.

Sembra bello, siamo in tanti. Ma non siamo uniti da una “idea” comune o da una “filosofia”. No, attingiamo dal vaso comune del BDSM per crearne uno tutto nostro, giusto e personalizzato, semplice, ergonomico, su misura, possibilmente pronto e di veloce uso, attendibile e all’occorrenza sostituibile con altrettanta velocità. Come avere un coltellino svizzero dei ruoli, da usare a seconda delle situazioni, dei  giocatori o della momentanea attrazione ad una fantasia, e a ogni scelta è necessario abbinare un’abilità teatrale di indubbia efficacia per poter sostenere “la parte”. Nel caso contrario, come  spesso accade, si sprofonda nella più patetica delle parodie.

Alcuni, tra i più giovani, mi fanno notare che il modo di pensare e di percepire odierno è cambiato con il tempo e con le nuove generazioni, e che occorre essere più fluidi, meno ancorati alle “regole”. Forse è così, ma molti dei confronti con curiosi e corsisti lasciano intravvedere due facce distinte della percezione del BDSM. Una sorta di “annacquamento” più che di fluidità, che lascia spazi all’interpretazione quando, invece, sembrano essere solo scelte incompiute. Il ruolo, in una di queste facce, è una minuziosa ricerca in se stessi, nell’altra un abito da indossare. La scoperta del proprio ruolo, quello nascosto o in estrema evidenza, che a volte richiede tempo e pazienza per riuscire ad emergere come vorremmo, non ha nulla a che fare con “un gioco” che da molti viene confuso come se fosse una partita di volley in cui basta scegliere la pettorina di un colore per far parte di una squadra. Anche la scoperta delle sensazioni è un viaggio e ha una progressione che non può essere consumata nelle quattro ore di un play party. Chiude il confronto la frenesia compulsiva di voler fare qualcosa senza averne le competenze -come voler replicare gli stunt man e lanciarsi dal balcone rompendosi le costole- aumentando così la percentuale di rischio a livelli paradossali in una sconsiderata semplificazione del tutto, adattamento a ciò che si cerca con la pura avidità consumistica a cui siamo abituati: il voler giungere al risultato facendo solo un click e nessuna fatica. 

Così, ultimamente, il BDSM (quello che conosciamo con lo sviluppo dell’acronimo) si è lasciato abbracciare dai cultori del “famolostrano”, a chi poco importa del rapporto D/s e della complessità che genera. Personaggi che usano parole (che per alcuni hanno un senso) in maniera spropositata o fuorviante, di chi confonde l’essere passivo con l’essere sottomesso o di chi pensa che “le botte” siano una cornice (ma non interessa un gran che) più o meno accettabile, e guai a nominare la sicurezza senza che qualcuno sbuffi o alzi gli occhi al cielo come se fosse un limite o una seccatura. Il sesso è un punto focale, tutto il resto è scenografia.

L’ambiente si presta bene come “luogo” per del sano rough sex, e le fruste e i frustini in bella vista hanno scopo intimidatorio più che di reale utilizzo. Le corde? Quelle danno un tocco in più, due nodi li sa fare chiunque, mica è il caso di fare cose complesse, tanto è solo per figura. C’è anche una gabbia, da usare giusto due minuti per simulare un “rapimento”. 

“Poi la schiava esce e mi prende con lo strap-on”. “Ma sei sicuro che funzioni come ruolo?”

“E che palle, certo che funziona: glielo ordino!, sono io che comando!”

È un dolce viaggiare di flogger che accarezzano la pelle mentre finti gridolini riempiono l’aria senza un perché; lo hanno visto in qualche video ed è divertente da replicare. Poi sesso, e ancora sesso. Quindi sto BDSM, chiedo all’altra faccia, cosa sarebbe? “È quando fai sesso un po’ più forte”.

Semplifichiamo, erodiamo, limiamo, smussiamo, livelliamo fino ad ottenere la perdita del succo. Per me invece  il succo è importante, è la salvezza in una terra senza sponde. Il concentrato è: il Bondage, quello che non è fine a se stesso ma strumento per far vibrare le corde dell’anima, è la stretta che tiene legate fantasie opposte lasciando le menti libere di volare. È la realizzazione di un rapporto D/s, la libertà di esprimersi,  la cessione di potere dove le parole “affidarsi” e “libertà” hanno davvero un senso e un valore. È il riconoscere se stesi, accettarsi e accettare tutte quelle sfumature (compreso le nostre) che parevano impensabili, il trovare piacere nel dolore o nell’infliggerlo, nelle pieghe della pelle come in quelle della mente. È un orgasmo mentale prima che fisico, lo specchio di ciò che talvolta è costretto nell’ombra, il nostro Io più vero e intimo che sa condividere, selezionando, la propria essenza (insomma, il succo!). 

In un contesto in cui i “protocolli di sicurezza” sono ben codificati, strutturati, spiegati ed evoluti (non sempre applicati, ma questo è un altro discorso) non c’è un “protocollo d’uso” o “di gioco” (se preferiamo), una sorta di linea guida che sappia tracciare, con estremo margine, quelli che sono i princìpi di base per evitare che si moltiplichino i paradossi e le incongruenze tipiche di chi le giustifica con: “Se piace a te, certo che si può fare!”. No, non si può fare. Esiste anche la coerenza, ed è proprio questa che differenzia le due facce del BDSM, la stessa che porta gli esploratori e i giocatori a voler rimanere una “nicchia” senza essere rosicchiati e triturati dal pensiero facilotto e semplicistico. 

Ma che gusto ci sarebbe, poi, a fare il copia incolla senza capire il senso ? “Ma niente, è di moda, è trasgressivo, fa molto figo. È hard!”.  

I social ovviamente non aiutano essendo per conformazione di libero accesso a chiunque ed è semplice creare correnti contrapposte per il puro gusto di destabilizzare e sgretolare certezze o convinzioni. Nel contempo sono strumenti eccezionali per sostenere tesi improponibili, supportate da falsità create a doc e dubbi indotti da bufale formato famiglia a cui molti abboccano perché pensano che le informazioni (quelle vere verissime) si trovino in quel contenitore fasullo.

Alle volte penso che si applichino e imparino molto di più quelli che fingono, per riuscire a farlo bene, rispetto a chi si approccia e pensa di inserirsi in una comunità con l’intento di confrontarsi e di crescere, facendo riferimento a improponibili “guru” e “abboccando” alle stupidaggini più assurde.

 

“Jessica: 'O famo strano?
Ivano: Famolo! ...E se viè quarcuno?
Jessica: Mejo. Potrebbe esse pure mejo.”

(Viaggi di Nozze – Carlo Verdone)

 

Jean Bottega

Foto: Claudia Gerini